Alla Mostra del Cinema di Venezia è arrivato uno dei titoli più attesi dell’anno: Frankenstein di Guillermo del Toro. Un progetto che il regista messicano coltiva fin dall’infanzia e che finalmente trova compimento in un adattamento sontuoso, personale e visivamente spettacolare del romanzo di Mary Shelley.
Il film si apre con l’immagine di Victor Frankenstein, stremato e quasi in fin di vita tra i ghiacci artici. Da qui, il racconto si snoda tra memorie e ossessioni, seguendo la parabola di uno scienziato geniale e arrogante che decide di sfidare la morte, creando una Creatura destinata a cambiare per sempre la sua esistenza. Del Toro rilegge la storia con la sua cifra poetica: più che un horror gotico, Frankenstein è un dramma epico sull’identità, sulla fragilità dell’essere umano e sull’eterna ricerca di amore e comprensione.
Gli attori: un ensemble di grande potenza
Il cast è uno dei punti di forza del film. Oscar Isaac interpreta Victor Frankenstein con un approccio diverso dal solito: non lo scienziato da manuale, ma un artista visionario, quasi una rockstar del sapere, animato da energia punk e da un’ossessione autodistruttiva. Isaac restituisce un personaggio sfaccettato, capace di passare dalla freddezza analitica al delirio più emotivo, dalla fragilità alla tirannia.
Jacob Elordi, nei panni della Creatura, regala probabilmente la sua performance più intensa e sorprendente. Trasformato da un lavoro di trucco e prostetiche monumentale, porta sullo schermo un essere al tempo stesso fragile e imponente. Il suo corpo, i movimenti ispirati alla danza butoh, la voce che oscilla tra la dolcezza e la furia, restituiscono un personaggio tragico e commovente. Non più un semplice mostro, ma un’anima smarrita che cerca un posto nel mondo. È qui che il film trova il suo cuore emotivo.
Accanto a loro, Mia Goth nel ruolo di Elizabeth porta un’intensità delicata ed eterea: il suo personaggio è al tempo stesso specchio e ossessione per Victor, simbolo di un amore impossibile che diventa luce in un mondo dominato dalle ombre. Christoph Waltz, con il suo carisma naturale, aggiunge ambiguità e fascino al mercante Heinrich Harlander, mentre Felix Kammerer è un William Frankenstein di sorprendente sensibilità, contrappunto alla furia del fratello maggiore.
Musica e fotografia: un’opera totale
La colonna sonora di Alexandre Desplat, alla sua quarta collaborazione con del Toro, è un elemento centrale. Desplat orchestra archi, cori e organi con momenti di lirismo struggente e improvvise esplosioni drammatiche. Il suo tema per Victor mescola nobiltà, ossessione e perdita, mentre quello per la Creatura alterna malinconia e innocenza, creando un dialogo musicale che accompagna l’intera vicenda. La musica non illustra semplicemente le immagini, ma costruisce un tessuto emotivo che amplifica la narrazione.
La fotografia di Dan Laustsen, storico collaboratore di del Toro, è un altro pilastro del film. Girato con Arri Alexa 65, il film alterna neri profondi e bagliori romantici, contrasti violenti e cromie simboliche: il rosso legato al trauma infantile di Victor, il blu glaciale delle distese artiche, il verde corroso del laboratorio, l’oro e il marmo della sua casa aristocratica. Ogni inquadratura è pensata come un quadro, orchestrata con precisione pittorica. Il risultato è un’estetica sontuosa, che rimanda tanto all’espressionismo tedesco quanto al grande cinema classico hollywoodiano.
Una perfezione che affascina, ma non sempre emoziona
Alla proiezione veneziana, Frankenstein ha ricevuto una standing ovation di 13 minuti, tra le più lunghe del festival. È senza dubbio un film tecnicamente perfetto, sofisticato e di alto budget, capace di impressionare per ricchezza visiva e complessità artigianale. Personalmente, l’ho apprezzato molto, ma non mi ha emozionato quanto speravo: la raffinatezza estetica e la monumentalità della messa in scena prevalgono a tratti sulla capacità di coinvolgere fino in fondo lo spettatore. È un film che ammiri, che rispetti, ma che forse non ti travolge sul piano intimo come altri lavori del regista.
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