Venezia 82: La Grazia - Un Sorrentino Ritrovato
di Claudio Napoli – dal Lido di Venezia
A noi il film è piaciuto moltissimo. Felici di aver ritrovato un Sorrentino che forse avevamo un pò perso negli ultimi anni. Con La Grazia, il regista napoletano sceglie una regia sobria, misurata, priva di eccessi barocchi, eppure intensamente poetica. È un Sorrentino che abbandona lo sfarzo per lavorare sull’essenziale, capace di scolpire immagini limpide, di dare forza al silenzio, di trasformare la sobrietà in linguaggio. La sua mano si sente in ogni inquadratura: nell’uso calibrato dei movimenti di macchina, nei tempi sospesi, nella capacità di far parlare i vuoti tanto quanto i pieni. Un ritorno all’essenziale che rende il film sorprendentemente accessibile, senza rinunciare alla profondità che lo contraddistingue.
E al centro di questa ritrovata ispirazione c’è Toni Servillo, compagno di viaggio del regista sin dai tempi de Le conseguenze dell’amore e interprete indimenticabile di capolavori come Il divo e La grande bellezza. Ogni volta che Sorrentino affida a Servillo il cuore di un film, nasce un ritratto che diventa parte della memoria collettiva.
In La Grazia Servillo torna in grande forma, con un’interpretazione misurata e insieme vibrante: il suo Mariano De Santis, Presidente della Repubblica inventato ma verosimile, è un uomo che si muove tra austerità e fragilità, tra senso del dovere e tormenti privati. Servillo riesce a trasformare il dubbio in gesto scenico, a rendere tangibile il peso della responsabilità, a incarnare un potere che smette di essere astratto per farsi carne e volto. È forse una delle sue prove più mature, capace di restituire tutta la complessità dell’uomo dietro l’istituzione.
La Grazia è un’opera importante, intensa, che unisce riflessione e intrattenimento. Un film che si interroga sul potere e sull’etica, ma che resta profondamente umano.
Un film di grande umanità
Mariano De Santis, interpretato da Servillo, è un Presidente della Repubblica inventato ma profondamente credibile — vedovo, cattolico, giurista e padre. Alla fine del suo mandato si trova a dover decidere se concedere la grazia a due condannati per omicidio e se firmare o meno una legge sull’eutanasia.
Sorrentino scrive nelle sue note:
«La Grazia è un film d’amore. Questo motore inesauribile che determina il dubbio, la gelosia, la tenerezza, la commozione, la comprensione delle cose della vita, la responsabilità… Mariano De Santis, dietro il suo aspetto serio e rigoroso, è un uomo d’amore».
Il personaggio, interpretato magistralmente da Servillo, restituisce un Presidente intimo e vulnerabile, lontano dalle icone del potere.
Dorotea: il contrappunto generazionale
Accanto a lui, Anna Ferzetti nel ruolo della figlia Dorotea. Anch’essa giurista, rappresenta la nuova coscienza politica e familiare. La sua presenza, fatta di silenzi e di dialoghi asciutti, diventa simbolo di una generazione che chiede ascolto.
Sorrentino lo sottolinea con forza:
«La Grazia è un film sulla paternità. Un politico può definirsi tale se incarna la dote alta e rassicurante della paternità… Mariano De Santis è un grande padre».
Il rapporto con Dorotea mostra la capacità del potere di rimettersi in discussione, di imparare ad ascoltare, di riconoscere il valore del dubbio come strumento etico.
Coco Valori: ironia e malinconia
La vera sorpresa, accolta con entusiasmo dalla sala, è Coco Valori (Milvia Marigliano), critica d’arte ed amica d’infanzia del Presidente. Vitalità, humour e malinconia la rendono il personaggio più amato dal pubblico, che ha reagito con risate e applausi a ogni suo intervento.
Sorrentino stesso ammette:
«Coco rappresenta quello che vorrei essere: così vitale, appassionata e allo stesso tempo malinconica».
È un personaggio che non resta ai margini, ma che si innesta al centro della narrazione, mostrando che la politica, l’amore e la vita hanno bisogno anche di ironia, di passioni, di cultura.
Fotografia e musica: estetica potente
Un ruolo fondamentale nella riuscita estetica del film lo gioca la fotografia di Daria D’Antonio. Non c’è ricerca dell’estetica fine a sé stessa, ma una scelta consapevole di lavorare su toni grigi, luci opache, atmosfere lattiginoseche rispecchiano perfettamente la figura di Mariano De Santis: solido, austero, apparentemente impenetrabile. È una luce che non abbellisce ma racconta, che dà corpo alla freddezza istituzionale e, al tempo stesso, alla fragilità interiore del protagonista.
Abbiamo percepito come la fotografia riesca a creare un’aura quasi sacrale, in cui gli ambienti del potere non diventano reliquie, ma scenari vivi, attraversati da umanità. L’occhio di D’Antonio accompagna lo spettatore con dolcezza, evitando contrasti netti, e lascia che siano i volti e i silenzi a dominare. In questo equilibrio tra rigore e lirismo, tra freddezza visiva e calore emotivo, sta forse il segreto della riuscita visiva di La Grazia.
Sul piano musicale, Sorrentino sorprende con una scelta popolare e coraggiosa: la collaborazione con Guè Pequeno. Il brano “Le bimbe piangono” — già celebre sui social — diventa nel film una colonna sonora capace di unire energia contemporanea e profondità emotiva. Sorrentino stesso ha spiegato che non l’ha scelta per moda, ma per “quel fondo doloroso che mi emoziona”. Una scommessa riuscita: il rap come linguaggio universale che spezza e rilancia la narrazione.
Un inizio di festival che non poteva essere migliore.
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